Antibiotico resistenza e Covid 19

  • Dott.ssa Maria Grazia Deriu
    Dirigente Biologa Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari
Tempo di lettura: 4 minuti, 52 secondi
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La pandemia di COVID-19 ha esercitato una pressione significativa sui sistemi sanitari globali, aggravata dall'uso irrazionale degli antimicrobici e dall'incidenza di infezioni causate da microrganismi multiresistenti. Questa situazione continua a minacciare la salute pubblica, con alti tassi di morbilità, mortalità e perdite economiche. COVID-19 e la resistenza antimicrobica rappresentano emergenze sanitarie parallele e interconnesse. Ciò che ci si domanda è se la resistenza antimicrobica è peggiorata o migliorata come conseguenza della pandemia.

Nel marzo 2020, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato la pandemia causata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2. L'elevata trasmissibilità del virus e la gravità clinica della malattia associata (COVID-19) hanno messo in discussione molti aspetti dell'assistenza sanitaria globale. Questo include diagnosi, gestione clinica, misure di prevenzione e controllo delle infezioni relative a COVID-19, oltre all'efficace gestione degli antimicrobici. Durante la pandemia, vi sono stati molti cambiamenti nei modelli di prescrizione degli antibiotici, poiché le caratteristiche cliniche della grave infezione respiratoria causata da SARS-CoV-2 erano simili a quelle delle infezioni batteriche. Inoltre, marcatori di infezione come la proteina C-reattiva non distinguevano efficacemente tra infezioni da polmonite batterica e virale. Queste sfide diagnostiche hanno complicato la decisione dei medici di prescrivere antibiotici empirici.

Si stima che la resistenza antimicrobica (AMR) causi 700.000 decessi ogni anno a livello globale. Senza un rigoroso piano d'azione, il numero di decessi dovuti a infezioni da agenti patogeni multiresistenti potrebbe raggiungere i 10 milioni all'anno entro il 2050. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato la resistenza antimicrobica una delle 10 principali minacce sanitarie globali nel 2019. Nonostante spesso più silenziosa della pandemia di COVID-19, la resistenza antimicrobica può avere conseguenze devastanti. L'ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) stima che in Europa si registrino annualmente 33.000 decessi legati alla resistenza antimicrobica, con oltre 10.000 decessi solo in Italia e un impatto economico di 1,5 miliardi di euro l'anno.

L'incremento della resistenza antimicrobica è una possibile conseguenza della pandemia di COVID-19. Numerosi rapporti recenti hanno evidenziato un aumento dei batteri multiresistenti durante il periodo pandemico. Anche l’OMS ha denunciato, con prove inconfutabili, l’uso eccessivo di antibiotici in tutto il mondo, specialmente nella fase iniziale della pandemia, che potrebbe aver aggravato la diffusione silente della resistenza antimicrobica.

I pazienti con COVID-19 possono ammalarsi gravemente e dover rimanere nelle unità di terapia intensiva (ICU). A causa della gravità delle loro condizioni, spesso si ricorre alla ventilazione meccanica (MV), al catetere urinario e al catetere venoso centrale (CVC), aumentando il rischio di infezioni batteriche secondarie, trattate con antibiotici empirici ad ampio spettro. Lo sviluppo di resistenza antimicrobica tra i batteri responsabili delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) è stato frequentemente segnalato nelle terapie intensive durante la pandemia di COVID-19. Il tasso più alto di utilizzo di antibiotici è stato osservato tra i pazienti con COVID-19 grave o critico, con una media globale dell'81%. Nei casi lievi o moderati, l'utilizzo di antibiotici variava notevolmente tra le regioni, con il picco nella regione africana (79%). Anche se solo l'8% dei pazienti ospedalizzati con COVID-19 presentava coinfezioni batteriche che richiedevano antibiotici, circa il 75% dei pazienti veniva trattato con antibiotici 'nel caso in cui' fossero utili. L'uso di antibiotici variava dal 33% per i pazienti nella regione del Pacifico occidentale, all'83% nelle regioni del Mediterraneo orientale e africane. Tra il 2020 e il 2022, le prescrizioni sono diminuite in Europa e nelle Americhe, mentre sono aumentate in Africa.

Uno studio retrospettivo ha rilevato, inoltre, che l’incidenza della colonizzazione da Enterobacterales resistenti ai carbapenemi nei pazienti in terapia intensiva è aumentata dal 6,7% nel 2019 al 50% nel periodo marzo-aprile 2020.

Questi risultati si basano sui dati della piattaforma clinica globale dell’OMS per COVID-19, un archivio di dati clinici standardizzati e anonimizzati provenienti da pazienti ricoverati in ospedale con COVID-19. I dati sono stati raccolti da circa 450.000 pazienti ospedalizzati per COVID-19 in 65 paesi tra gennaio 2020 e marzo 2023.
A causa dell'emergenza COVID-19 nei sistemi sanitari, le attività pianificate sono state messe in secondo piano e le misure preventive già implementate sono state annullate. La pandemia ha messo a dura prova i sistemi sanitari, distogliendo risorse, personale e attenzione dalla diagnosi e gestione della resistenza antimicrobica. Gli studi sulla resistenza antimicrobica sono stati ostacolati e i programmi di sorveglianza sono stati ridimensionati o interrotti.

Sebbene si sia verificata una prescrizione di antibiotici sostanzialmente inappropriata nei pazienti con COVID-19, l’uso di antibiotici per altre sindromi infettive è diminuito all’inizio della pandemia, nei contesti comunitari. Questo potrebbe essere potenzialmente dovuto all’attenuazione della trasmissione di altri agenti patogeni virali e batterici dovuta alle misure di sanità pubblica per contenere il COVID-19, compreso il distanziamento fisico, l’utilizzo delle mascherine, maggiore attenzione all’igiene delle mani e alla sanificazione degli ambienti che, oltre a contenere la diffusione del COVID 19, hanno mostrato il loro impatto anche nel controllo della trasmissione di altre infezioni che avrebbero contribuito alla prescrizione eccessiva di antibiotici. Questo è stato documentato anche a livello italiano, come da dati riportati dall’AIFA, che dimostrano il potenziale impatto delle misure di lockdown sulla prescrizione in ambito comunitario con un sostanziale decremento di utilizzo in età pediatrica (-80%). Dati contrastanti invece sono stati segnalati in seguito al maggior ricorso alla telemedicina che avrebbe contribuito alla prescrizione eccessiva di antibiotici, risultata essere superiore rispetto a quella che avviene nelle visite tradizionali.

In generale si può affermare che, nel complesso, l’uso di antibiotici non ha migliorato i risultati clinici per i pazienti con COVID-19, ma piuttosto, potrebbe aver creato danni alle persone senza infezione batterica, rispetto a quelle che non ricevono antibiotici. Ciò sottolinea l’urgente necessità di migliorare l’uso razionale degli antibiotici per ridurre al minimo le conseguenze negative non necessarie sia per i pazienti che per le popolazioni.

Il COVID-19 e la resistenza antimicrobica sono entrambe sfide per la sanità pubblica con questioni che si sovrappongono; tuttavia, ci sono differenze cruciali. Sebbene entrambi siano associati al concetto One Health che richiede una risposta coordinata a livello globale, la complessità della resistenza antimicrobica è aggravata dal fatto che la resistenza può evolversi in diverse specie attraverso molteplici meccanismi. Lo sviluppo di nuove terapie e vaccini è stato il pilastro della risposta al COVID-19, ma lo sviluppo di nuovi antimicrobici non è una soluzione a lungo termine per la resistenza antimicrobica. Inoltre, la percezione della minaccia rappresentata dalla resistenza antimicrobica tra le comunità e i prescrittori è molto diversa da quella del COVID-19.

Fonti / Bibliografia
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  • Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali. L’uso degli antibiotici in Italia. Rapporto Nazionale 2020. Roma: Agenzia Italiana del Farmaco, 2022.

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